Marusya Nikiforova - Atamansha -


 


Nestor Makhno

 

   Nestor Makhno

 Manifesto-Makhnovista

Riportiamo di seguito parte del Manifesto Makhnovista redatto dalla sezione culturale degli insorti in data 27 Aprile 1920:

1.   1 machnovisti sono operai e contadini che insorsero fin dal 1918 contro la tirannia del potere della borghesia germano-magiara, austriaca e hetmanita in Ucraina. I machnovisti sono quei lavoratori che per primi innalzarono lo stendardo della lotta contro il governo di Denikin e tutte le altre forme di oppressione, di violenza e di menzogna, qualunque fosse la loro origine. I machnovisti sono quei lavoratori sulla cui fatica la borghesia in generale, ed ora quella sovietica in particolare, ha costruito il proprio benessere ed è divenuta grassa e potente.

2. Perché ci chiamiamo machnovisti? Perché per la prima volta durante i giorni più oscuri della reazione in Ucraina, abbiamo visto tra noi un amico leale, Machno, la cui voce di protesta contro ogni forma di oppressione dei lavoratori risuonò per tutta l'Ucraina, esortando alla lotta contro tutti i tiranni, i malfattori e i ciarlatani della politica che ci ingannavano, Machno, che ora marcia deciso al nostro fianco verso la mèta finale, l'emancipazione del proletariato da ogni forma di oppressione.

3. Che cosa intendiamo per emancipazione? Il rovesciamento dei governi monarchici, di coalizione, di repubblicani, socialdemocratici e del partito comunista bolscevico, cui deve sostituirsi un ordine indipendente di soviet dei lavoratori, senza più governanti né leggi arbitrarie. Perché il vero ordine dei soviet non è quello instaurato dal governo socialdemocratico-comunista bolscevico, che ora si definisce potere sovietico, ma una forma più alta di socialismo antiautoritario e antistatale, che si manifesta nell'organizzazione di una struttura libera, felice e indipendente della vita dei lavoratori, nella quale ciascun individuo, così come la società nel suo complesso, possa costruirsi da sé la propria felicità e il proprio benessere secondo i principî di solidarietà, di amicizia e di uguaglianza.

4. Come consideriamo il sistema dei soviet? I lavoratori devono scegliersi da soli i propri soviet, che soddisferanno i desideri dei lavoratori - cioè, soviet amministrativi, non soviet di stato. La terra, le fabbriche, gli stabilimenti, le miniere, le ferrovie e le altre ricchezze popolari devono appartenere a coloro che vi lavorano, ovvero devono essere socializzate.

5. Attraverso quale via i machnovisti potranno realizzare i loro obiettivi? Con una rivoluzione senza compromessi e una lotta diretta contro ogni arbitrio, menzogna ed oppressione, da qualunque fonte provengano; una lotta all'ultimo sangue, una lotta per la libertà di parola e per la giusta causa, una lotta con le armi in mano. Solo attraverso l'abolizione di tutti i governanti, distruggendo le fondamenta delle loro menzogne, negli affari di stato come in quelli economici, solo con la distruzione dello stato per mezzo della rivoluzione sociale potremo ottenere un vero ordine di soviet e giungere al socialismo.


   

La nostra organizzazione

Nestor Makhno

 I tempi in cui vive attualmente la classe lavoratrice in tutto il mondo impongono agli anarchici rivoluzionari la massima tensione di pensiero e la massima energia per chiarire le questioni più importanti.

Ogni compagno deve essere cosciente di questa esigenza, farne oggetto delle sue riflessioni ed arrivare alla conclusione che solo tramite una forza organizzativa unita possono gli anarchici identificare ed analizzare rapidamente le questioni che preoccupano le masse ed ispirarle con successo.

Quei nostri compagni che hanno svolto un ruolo attivo nella rivoluzione russa e che sono rimasti fedeli alle proprie convinzioni si saranno resi conto dei danni che l'assenza di una solida organizzazione ha recato al nostro movimento. Questi compagni sono in un'ottima posizione per portare un contributo particolarmente utile a quella ricerca di unità che è attualmente in corso. Immagino che non sarà passato inosservato a questi compagni il fatto che l'anarchismo è stato un fattore di insurrezione tra le masse rivoluzionarie dei lavoratori in Russia ed in Ucraina: incitando a lottare sempre ed ovunque. Tuttavia, l'assenza di una grande organizzazione specifica, capace di raccogliere le proprie risorse in opposizione ai nemici della rivoluzione, ha impedito che l'anarchismo assumesse un ruolo organizzativo. Lo spinto libertario nella rivoluzione ne ha sofferto poi le tragiche conseguenze.

Se prendono coscienza di tale carenza, gli anarchici russi ed ucraini non dovranno permettere che essa possa ripetersi. La lezione del passato è troppo dolorosa e, tenendola presente, dovrebbero essere i primi a dare l'esempio attraverso la coesione delle proprie forze. Come? Creando un'organizzazione che possa compiere la missione dell'anarchismo, non solo durante i preparativi per la rivoluzione ma ugualmente all'indomani della rivoluzione. Una simile organizzazione deve unire tutte le forze rivoluzionarie dell'anarchismo e occuparsi senza esitazione di preparare le masse per la rivoluzione sociale e per la lotta atta a realizzare la società anarchica.

Benché la maggior parte di noi sia cosciente della necessità di una tale organizzazione, è increscioso constatare che solo un numero minuscolo di militanti è disposto ad affrontare [il compito – ndt] con la serietà e la costanza che sono indispensabili.

In questo momento, il succedersi degli eventi sta accelerando in tutta l'Europa, inclusa la Russia, intrappolata nelle reti dei pan-bolscevichi. Non è lontano il giorno in cui sarà necessario essere partecipanti attivi in questi avvenimenti. Se ci presenteremo ancora una volta senza esserci prima organizzati adeguatamente, rimarremo impotenti, incapaci di impedire che gli avvenimenti vengano trascinati inesorabilmente nel vortice dei sistemi statalisti.

La coesione di tutti gli anarchici attivi, espressa con una seria azione collettiva, è unanimemente considerata necessaria da ognuno di noi. Sarebbe dunque molto sorprendente che taluni avversari della nostra Unione si iscrivano tra le nostre file. La questione da risolvere riguarda solamente la forma organizzativa che questa Unione degli Anarchici potrà adottare.

Personalmente, ritengo cha la forma organizzativa necessaria e che meglio si adatta alle nostre esigenze sia quella che si presenta sotto l'aspetto di una Unione degli anarchici, costruita sulla base dei principi della disciplina collettiva e della direzione comune di tutte le forze anarchiche. Così, tutte le organizzazioni che vi aderirebbero sarebbero collegate tra di loro dalla comunanza degli obiettivi socio-rivoluzionari, ma anche dalla condivisione dei mezzi che ognuna porterebbe come contributo.

Le attività delle organizzazioni locali devono possibilmente adattarsi alle condizioni locali; tuttavia esse dovrebbero anche essere sempre coerenti con l'orientamento della pratica organizzativa globale dell'Unione degli anarchici in tutto il paese.

Che questa Unione si chiami partito o altrimenti non ha che una importanza secondaria. Ciò che è fondamentale è che realizzi la concentrazione di tutte le forze anarchiche in una pratica comune ed unitaria contro il nemico, spingendo avanti la lotta per i diritti dei lavoratori, la realizzazione della rivoluzione sociale e l'avvenire della società anarchica!

Delo Truda, no.6, novembre 1925

 

Al Congresso della Union Anarchiste Communiste Révolutionnaire

NESTOR MAKHNO  - Cari compagni!

È con un profondo sentimento rivoluzionario ed anarchico che saluto i compagni riuniti nel loro congresso nazionale per risolvere con un accordo collettivo certe questioni importanti del nostro movimento comunista anarchico. Questo movimento, a causa della sua disorganizzazione, si è allontanato dalle masse, in modo naturale ed insensato per molti di noi, e arriva così a perdere la sua importanza, come accade nei nostri tempi. Voglio credere, cari compagni, che il vostro congresso avrà un'importanza decisiva per il destino del movimento comunista anarchico francese, di cui né i partigiani di questa tradizione né i suoi oppositori possono andare fieri, poiché, al pari di molti altri paesi, questo movimento è disorganizzato interiormente ed esteriormente, e si trova in uno stato di decadenza. Tutti noi siamo tenuti a rifletterci in comune e, sempre in comune, a sormontare le difficoltà. Il congresso deve, nelle sue risoluzioni, porsi al di sopra dei balbettamenti infantili di coloro che riescono a ritardare lo sviluppo del nostro movimento, mantenendolo nelle linee delle vecchie tradizioni, contrarie all'organizzazione. Se non lo farà, non farà altro che ripetere le vecchie posizioni che, come abbiamo tutti visto, non corrispondono sempre alla vita ed all'evoluzione del nostro movimento.

È vero che nelle vostre file, così come in quelle del nostro movimento in molti altri paesi, ci sono numerosi compagni, imbevuti di dogmatismi che, d'accordo con l'opuscolo L'Anarchia e l'organizzazione del nostro vecchio compagno Errico Malatesta, vogliono applicare all'anarchismo rivoluzionario moderno delle idee ed una tattica inadeguati e proclamare che ogni membro di un'organizzazione anarchica può adoperare la tattica che vuole. Forse questi compagni intendono operare in tale direzione durante il congresso e se sarà così, quest'ultimo certamente non arriverà ad alcunché di positivo per quel che concerne la rettifica del nostro movimento e finirà nel ripetersi delle vecchie idee...

Ma anche se fosse così, io credo sia mia compito doveroso auspicare che voi, cari compagni, riflettiate su questo: finché si accetterà che i membri delle nostre organizzazioni possono adoperare la tattica che piaccia loro di più, il nostro movimento non farà progressi. Gli avvenimenti come una rivoluzione esigono un vasto raggruppamento delle masse, e le organizzazioni anarchiche, come quelle che esistono attualmente, non potranno creare dei progetti di grande significato rivoluzionario quando si avvicineranno al raggruppamento delle vaste masse popolari. Lo sparpagliamento delle loro forze ed il disaccordo nella loro tattica non glielo permetterà. La marcia attiva degli eventi rivoluzionari esigerà dalle organizzazioni anarchiche che la "libertà illimitata" degli individui e dei piccoli gruppi nella scelta della tattica (quella sognata dagli elementi caotici tra le nostre file) sia relegata dietro le quinte. È nell'interesse del nostro movimento che l'attenzione di tutti sia concentrata sul compito di generalizzare in tutto il paese il trionfo della rivoluzione e che questa abbia, per quanto possibile, un contenuto anarchico. In queste condizioni, l'organizzazione anarchica dovrà essere particolarmente forte politicamente ed unita dal punto di vista della tattica. Infatti, al momento attivo della rivoluzione, si incontrano generalmente due volontà: quella del movimento anarchico e quella del movimento delle masse popolari, di cui gli anarchici devono necessariamente tener conto. Devono tendere all'unione di queste due volontà. Ora, potranno farlo, senza pregiudizio all'estendersi ed all'influenza delle loro idee sulla marcia degli eventi rivoluzionari, solamente elaborando una ideologia omogenea ed una tattica uniforme. E allora l'uso di una tattica qualsiasi, ognuno a proprio piacimento, sarà non solo impossibile ma nocivo.E quel che è nocivo, non per gli individui o i gruppi ma per l'intero movimento, sta al congresso cercare di evitare nel corso dei suoi lavori.Evviva la solidarietà ed il lavoro creativo dei delegati al congresso

Evviva l'organizzazione anarchica, potente ed unita dal punto di vista ideologico e tattico, di cui il vostro congresso deve, a mio avviso, gettare le fondamenta! Saluti fraterni,
Nestor Makhno     
Parigi, 1930

La Comune di Parigi

 Oggi, Anniversario della 🌹Comune di Parigi 🌹la forma di autogoverno di stampo socialista, che assunse la città di Parigi dal 18 marzo al 28 maggio 1871, la prima grande 

esperienza di partecipa

zione dal basso che fu volontà di cambiare le regole per una società egualitaria. 


"Centocinquantaquattro anni dopo non dimentichiamo di rendere omaggio ai ribelli che per primi osarono concepire una convivenza umana fondata sulla giustizia sociale e sulla fine dello sfruttamento."


Karl Marx: «Il vecchio mondo si contorse in convulsioni di rabbia alla vista della bandiera rossa, simbolo della Repubblica del Lavoro, sventolante sull’Hotel de Ville.»







Comunicato stampa Slai Cobas sui morti di Adrano

 

Basta morti sul lavoro e per il lavoro

Palermo, 18 marzo 2025

I tre morti e i sette feriti gravi di ieri di Adrano coinvolti in un incidente mentre tornavano la sera dal lavoro nei campi, sono la dimostrazione che le stragi sul lavoro e per il lavoro in questo paese sono diventate una cosa normale, ma che normale non può essere!

Il più giovane dei tre lavoratori agricoli, di 18 anni, si chiamava Rosario Lucchese e lo aspettava la moglie incinta, gli altri due morti subito sono due cinquantenni, Salvatore Lanza di 54 anni e Salvatore Pellegriti, di 56 anni, anche loro sposati e con figli. Degli altri sette, quattro sono in gravi condizioni, tutti usciti al mattino per andare a lavorare nei campi, a raccogliere arance, a un centinaio di chilometri, e non più rientrati a casa, come purtroppo succede a tanti lavoratori di questo paese, che burocraticamente si chiamano morti in itinere.

In particolare, chi lavora nei campi è sottoposto ad uno stress allucinante prodotto da lunghe ore di lavoro, che costa tantissima fatica e con ritmi pesantissimi (ricordiamo i casi di chi è morto mentre lavorava!), che spesso si ammala per i tanti prodotti velenosi che sono costretti ad usare… un lavoro, come tutti sanno, pagato quasi sempre pochissimo.

Sono lavoratori “fantasmi” come oramai vengono chiamati, perché ci si accorge di loro quando succedono queste tragedie, che non sono “fatalità”, come abbiamo gridato mille volte… si tratta chiaramente, per chi vuol vedere, di un sistema nel quale i padroni fanno quello che vogliono, dove non esiste nessun controllo sui modi in cui si lavora per non parlare della “sicurezza sul lavoro”, che, ricordiamolo, è una legge di questo stato ma della quale i padroni e i loro governi se ne fregano.

Ed è innanzi tutto il governo di turno, in questo momento il governo della moderno fascista Meloni, che se ne frega, che garantisce in ogni modo i padroni, i caporali e tutti quelli che attorno a questo affare ci guadagnano, e che anzi dice che i padroni non si devono “disturbare”.

E non vogliono disturbare nemmeno i mezzi di comunicazione al servizio del governo: la notizia di questi lavoratori “fantasmi” è già oggi sparita dai principali telegiornali, perché il governo non vuole che si smontino le balle sulle condizioni di lavoro innanzi tutto e poi sui salari, sulla miseria in ogni ambito che produce questo sistema mentre i stanzia sempre di più soldi per le spese militari e la loro guerra imperialista.

Siamo, insomma, davanti ad una vera e propria guerra perenne contro i lavoratori, che ogni anno fa oltre 1000 morti, e mentre esprimiamo tutta la nostra solidarietà alle famiglie dei lavoratori morti e auguriamo ai lavoratori feriti di riprendersi presto, diciamo che bisogna farla finita con lo sfruttamento selvaggio dei lavoratori, in questo caso dei lavoratori agricoli e del caporalato. 

È fondamentale che i lavoratori delle campagne costruiscano una propria organizzazione forte e fuori dalle organizzazioni sindacali confederali che non fanno che versare lacrime ipocrite ad ogni “incidente”, per lottare fino in fondo contro tutti quelli che tengono in piedi il sistema del Capitale.

Slai cobas per il sindacato di classe

Via Michele Cipolla, 93 Palermo

cobas_slai_palermo@libero.it 


La Giornata della Terra

La Giornata della Terra Palestinese nasce come risposta di movimenti, attivisti e intellettuali palestinesi contro l’occupazione israeliana. Il 30 marzo 1976 fu indetta una protesta contro il piano di esproprio israeliano in Galilea per espandere gli insediamenti sionisti. Alla vigilia della mobilitazione, le forze israeliane schierarono migliaia di soldati, arrestarono i leader locali e attaccarono i villaggi palestinesi, ferendo numerosi abitanti. Il giorno successivo, la repressione causò sei morti.

La Giornata della Terra ha segnato un punto di svolta nella lotta palestinese e noi la celebriamo come una giornata di azione unitaria che unisce i palestinesi di tutto il mondo e le persone di tutto il mondo in solidarietà con la Palestina.

Alla luce della protratta situazione di estrema criticità in tutti i Territori Palestinesi, il giorno 30 marzo alle 10:30 ci uniremo in un corteo cittadino per pretendere con forza i seguenti punti:

• Cessate il fuoco permanente a Gaza e fine dell’occupazione.
• Apertura dei valichi per gli aiuti umanitari.
• Indagini indipendenti sui crimini di guerra nei tribunali internazionali.
• Fine della colonizzazione e dell’apartheid in Cisgiordania e Gaza.
• Diritto al ritorno dei profughi palestinesi (Risoluzione ONU 194).
• Liberazione dei prigionieri, in particolare minorenni e detenuti amministrativi.
• Elezioni libere e democratiche nei territori occupati.
• Riconoscimento della resistenza palestinese come legittima.
• Boicottaggio commerciale, militare, tecnologico e accademico delle istituzioni sioniste.
• Stop agli accordi diplomatici con Israele e inizio di sanzioni.
• Ritiro delle truppe italiane dal Medio Oriente e dal Mar Rosso.
• Smilitarizzazione della Sicilia, con la chiusura di basi militari come Sigonella e il MUOS di Niscemi, e  STOP ai piani di riarmo europeo. 
• Fine della complicità del governo Meloni con lo stato criminale sionista. 

NON RESTIAMO A GUARDARE, AMPLIFICHIAMO LA VOCE DEL POPOLO PALESTINESE!
30 Marzo, ore 10:30 | Partenza da piazza Sant’Antonino, Palermo

È NATO IL COORDINAMENTO “SALAMANDRE”

 


È NATO IL COORDINAMENTO “SALAMANDRE”
Novembre 24
16:582024

Questo documento parla di una scissione inevitabile, di un’assemblea autoconvocata dalle compagne e dai compagni fuoriusciti da AL-FdCA e della conseguente nascita di un Coordinamento, denominato “Salamandre”.

“ Il ciarlatano fascista afferrò la maschera da lupo mannaro, si diede alla magia con nomi semifolli, con sceneggiature da romanzo dell’orrore che trapassa nel kitsch ma anche nella schizofrenia del piccolo borghese, ben utilizzata con profitto. Insomma la schizofrenia della cuccagna presa sul serio, che viene anch’essa dal dorato occidente”

( tratto da Il principio speranza, Ernst Bloch)

 

Una scissione sofferta, ma ormai inevitabile di fronte ad una gestione sclerotizzata ed autoritaria

Alcuni mesi fa un gruppo di compagni e compagne, firmatari tra gli altri di questo documento, ha deciso di scindersi da AL-FdCA, pur avendo contribuito a consolidarla in decenni di militanza politica.

Non è stato un fulmine a ciel sereno, è stata una scelta sofferta e ragionata di un nutrito gruppo di militanti di fronte al diniego senza appello, da parte della Segreteria di AL-FdCA, di convocare un Congresso straordinario richiesto da tempo. Un diniego che ha rappresentato l’ulteriore prova del livello di sclerotizzazione in atto nell’organizzazione politica da tempo imbalsamata in un aspetto formale di continuità – purtroppo subito passivamente dai più- che ha coperto e copre l’incapacità di confrontarsi con il nuovo che avanza.

Una scissione peraltro inevitabile proprio per ritrovare il senso del comunismo anarchico

Una sclerotizzazione che oltretutto ha prodotto, negli ultimi anni, una identità ideologica auto-referenziale che non può bastare, né storicamente è mai bastata alla nostra organizzazione politica, per restare fedeli al mandato storico che come comunisti anarchici abbiamo sempre perseguito. Una identità ideologica peraltro privata del necessario dibattito sugli aspetti emergenti legati al nuovo scenario internazionale e allo stato della nostra classe di riferimento.

Uno scenario mondiale che non ci può trovare inermi

Il mondo è sull’orlo di una catastrofe, ambientale sociale culturale e politica. Il capitalismo (inteso come modo di produrre e di consumare che determina i rapporti sociali) sta distruggendo intere regioni del pianeta impedendo alle popolazioni di vivere su quei territori. Gli effetti drammatici dei forti e sempre più repentini cambiamenti climatici aggravati da una irresponsabile gestione delle risorse territoriali privano le popolazioni dei beni essenziali a riprodurre la vita umana. La devastazione sociale e culturale è evidente, l’atomizzazione sociale e la privatizzazione dei servizi sociali continuano il loro cammino in cerca di sempre maggiori profitti che vengono inghiottiti dal sistema finanziario.

La ristrutturazione del capitalismo e la ridefinizione delle aree del potere globale stanno determinando svolte autoritarie in tutti i paesi del mondo, mentre il militarismo e la guerra -che viene ormai invocata come una necessità dagli attori internazionali- stanno avendo il sopravvento su ogni cosa.

L’accelerazione dei processi di disfacimento politico e sociale sta portandoci, anche a scala nazionale, in un tunnel senza uscita: le istanze di libertà e autodeterminazione individuale e collettive vengono attaccate a tutti i livelli, per far fronte a dinamiche repressive e di censura.

Anche il ruolo dello Stato, così come i processi di sfruttamento economico, si è modificato e ha ceduto alle oligarchie finanziarie il ruolo di gestore degli investimenti e del livello di welfare ammissibile. Le privatizzazioni dei beni pubblici, della sanità e della scuola hanno portato a un ulteriore impoverimento di uno strato sempre più ampio di popolazione, sempre più privato dei beni e dei servizi essenziali e necessari ad una vita minimamente dignitosa.

Da Bologna la necessità di darsi percorsi e strumenti per adeguare le procedure tradizionali di lotta

Quanto successo in questi ultimi anni ha dimostrato che le organizzazioni politiche che si chiudono dogmaticamente su se stesse finiscono col non essere più in grado di interpretare gli avvenimenti politici e culturali, le nuove dimensioni del potere, le nuove determinazioni dello scontro di classe, sfuggendo alle inevitabili contraddizioni che questi mutamenti portano con sé.

La scomposizione della nostra classe, imposta dagli sviluppi che ha avuto il capitalismo negli ultimi decenni, è tale che per avere una visione di insieme di quelle che sono le condizioni sociali della classe stessa non è più sufficiente la sola partecipazione a strutture di massa (i sindacati) con le stesse modalità e con gli stessi strumenti di alcuni decenni fa. Il nostro faro principale rimane l’anarchismo di classe e il nostro percorso politico si attua nel campo della lotta di classe, ma riteniamo che gli aspetti del dualismo organizzativo non siano più oggi praticabili secondo facili schemi collaudati nei decenni passati.

Preso atto della situazione di non ritorno e ritenendo l’esperienza in AL/Fdca ormai conclusa, ci siamo autoconvocati a Bologna il 16 Giugno di questo anno.

Nell’assemblea, ritenendo che, in questa fase storica, sia necessario mantenere un forte collegamento tra i compagni e le compagne uscite dall’organizzazione politica Al-FdCA, abbiamo deciso di strutturarci in un Coordinamento delle varie realtà territoriali di appartenenza, ipotizzando specifiche iniziative di partecipazione alle manifestazioni di opposizione al potere statale e capitalistico.

Ci auto-affidiamo, collettivamente, il compito di coordinare al meglio le nostre attività per rimanere fedeli al nostro indirizzo internazionalista e anti patriottico e costruire argini contro nazionalismo e razzismo, società patriarcale e militarismo, per un mondo in pace, senza guerre.

E’ inoltre iniziato già da subito, tra noi, un confronto per aggiornare le griglie interpretative di un tempo rispetto allo scenario delle modificazioni che il capitalismo oggi impone, convinti che l’invarianza storica non può mai essere la forma organizzativa di qualsivoglia OP, a maggior ragione se si tratta di una organizzazione politica di anarchici e anarchiche.

Unire le intelligenze e le esperienze di lotta per potenziare la risposta sociale

Il confronto intrapreso, che proponiamo di aprire a chiunque condivida i nostri principi libertari e di classe, riguarda il bisogno di riflettere sui mutamenti in atto, cogliendo gli aspetti di continuità del dominio nelle sue nuove forme e modalità, ampliando la nostra base di conoscenze teoriche e di analisi e facendone patrimonio condiviso, valorizzando la nostra griglia ideologica ma in maniera inclusiva e non rigida.

Per questa ragioni ci apriamo a quanti e quante nel mondo anarchico e altrove sentono l’esigenza di mettere le proprie intelligenze, le proprie esperienze di lotta in un comune Coordinamento che sappia costruire una difesa collettiva delle lotte e della partecipazione dei e delle libertarie nella loro attività politica, culturale e sociale.

Organizzarsi per fronti tematici di lotta aperti: locali, nazionali e internazionali

Lo sfruttamento economico da parte di padroni e padroncini nei confronti dei lavoratori, dei precari, delle false partite IVA, dei giovani immigrati, degli studenti/lavoratori, e della restante classe subalterna, è sempre più decentrato e disarticolato nei territori delle metropoli e delle province.

E’ qui che risiedono le mille forme potenziali di conflitto rivendicativo ed è qui che spesso tali forme rimangono ad uno stadio embrionale, isolate dalle altre espressioni rivendicative.

L’intervento che tutte e tutti noi proponiamo si estrinseca sia nel costruire e difendere la partecipazione che, laddove sussistano le condizioni, nel sostenere e diffondere il conflitto nelle forme che i territori oggi cercano di esprimere.

Questo piano di intervento è fondamentale, oggi ancor più di ieri.

Pensiamo sia necessario organizzarsi secondo fronti tematici di lotta capaci di:

potenziare la risposta sociale territoriale;

permeare l’organizzazione politica con le proprie istanze, i propri linguaggi, i propri metodi, per potenziare la sua propria utilità sociale, mantenendola parte organica della classe stessa.

In tal senso guardiamo con interesse anche alle pratiche organizzative delle nostre organizzazioni sorelle estere, cogliendo quegli strumenti proficuamente utilizzati nelle loro realtà militanti e di intervento.

Strumenti e prossimi passiUL

Oggi abbiamo aperto una nuova esperienza, tutta da costruire.

Per questo motivo riteniamo opportuno che forma e sostanza del nascente Coordinamento siano costruite nel desiderato e atteso processo di individuazione dei vari fronti di intervento, articolando proposte e gruppi di lavoro nati con l’interessamento di compagni e compagne presenti nei vari territori.

In grande sintesi, il Coordinamento “Salamandre”:

nasce su presupposti aperti a quanti vorranno portare il loro contributo, proponendo spazi in cui analizzare le tematiche individuate per gli approfondimenti, in vista della individuazione dei fronti di lotta, da gruppi di lavoro o da singoli compagni;

si dota di un bollettino interno quale strumento per la condivisione e lo scambio di informazioni e interventi;

si dà un appuntamento annuale, pubblico, in cui costruire il dibattito e definire le varie iniziative comuni, mettendo a confronto le varie esperienze locali, nazionali ed internazionali.

Le attività funzionali di segreteria verranno svolte a rotazione.

I compagni e le compagne del Coordinamento “Salamandre”

Bologna, 10 Novembre 2024

coordinamentosalamandre@gmail.com

 Intervista a Ilan Pappé

"Israele non avrà mai pace né sicurezza se non metterà fine all'occupazione"

Francesca Paci La Stampa 2/10/2024   


Su Tel Aviv piomba la risposta degli ayatollah e il Medioriente si blinda, l'orizzonte prima della pioggia. Il commento dello storico israeliano Ilan Pappé, critico irriducibile del sionismo a cui è dedicato anche il suo ultimo libro Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina (Fazi), è lapidario: «Israele non avrà mai pace né sicurezza finché non metterà fine all'occupazione di milioni di palestinesi». Nessun cedimento alla memoria del 7 ottobre, all'alba del primo anniversario. Pappé scuote la testa canuta: «La pulizia etnica iniziata nel '48 è la causa, la guerra la risposta». Chiusa lì, occhio per occhio.

L'invasione del Libano, i missili iraniani su Israele. Siamo già oltre il baratro? «Alla fine l'Iran dovrà trattenersi, non può affrontare una guerra regionale. In Israele invece la leadership politica è convinta che il potere militare sia l'unica strada, non considera alcuna soluzione diplomatica e vede il controllo dell'intera Palestina storica come l'unica chance di pacificare un Paese spaccato tra religiosi e laici. Per questo, come in Libano, Israele insisterà con la forza: non so se schiaccerà la terza intifada iniziata il 7 ottobre, ma non rimuoverà il vero ostacolo alla pace che non è Hezbollah né l'Iran bensì l'occupazione di milioni di palestinesi».

Nel libro racconta una società lacerata tra lo Stato d'Israele, che difende il proprio essere democratico, e lo Stato di Giudea, in odor di teocrazia. L'abbiamo vista nelle proteste del 2023 contro Netanyahu che però sta recuperando. Che Paese è oggi Israele? «Un anno dopo il 7 ottobre Israele è quel che era prima, un Paese fratto dove lo Stato di Giudea guadagna terreno. I più laici stanno facendo le valigie e quelli che restano si condannano al silenzio, perché rifiutano la teocrazia ma non hanno un piano per la Palestina. Israele è ormai guidato da una élite messianica che sogna di modellare il nuovo Medioriente con la complicità di un mondo sempre più a destra e in spregio delle Nazioni Unite».

C'è chi chiama terrorismo la risposta israeliana al pogrom del 7 ottobre. È così e crede sia plausibile paragonare Israele, Hamas e Hezbollah? «Hamas ha indubbiamente compiuto un massacro di civili. Ritengo però che la risposta d'Israele sia stata del tutto sbagliata, non tanto all'inizio, a caldo, ma dopo, quando ha deciso di punire con Hamas l'intera popolazione di Gaza. Il 7 ottobre non è la causa di quella politica genocidiaria ma il pretesto, l'opportunità per il movimento dei coloni di fare pulizia etnica a Gaza e in Cisgiordania. La vita stessa degli ostaggi, per la prima volta nella storia dello Stato ebraico, è stata tutt'altro che una priorità».

Lei è un implacabile critico del sionismo. Neppure dopo il massacro dei kibbutz più pacifisti ha deposto le armi? «Quei kibbutz definiti pacifisti sono stati costruiti sulle rovine dei villaggi palestinesi distrutti prima e dopo la nascita d'Israele mentre chi li ha attaccati appartiene alla terza generazione di profughi. Nel '48 è stato il sionismo di sinistra a incoraggiare i coloni, cacciando le popolazioni indigene e creando a Gaza il mega campo profughi che dopo il '67 sarebbe diventato una mega prigione. Non puoi vivere accanto a una prigione e pensare che là dentro ti amino perché li aiuti. Sto con tutte le vittime del 7 ottobre ma non con il loro progetto sionista che è stato e sarà sempre un problema perché è immorale e non funziona».

Da un lato c'è Israele ostaggio di coloni irriducibili, dall'altro una causa palestinese a cui l'islamismo ha scippato la matrice anticoloniale volgendola in religiosa. Di Israele ci ha detto, del fronte opposto? «Il movimento anticolonialista palestinese non è diverso dagli altri: quando la sinistra ha ottenuto dei risultati è stata premiata dal consenso, quando lo ha mancato la gente ha cercato un'alternativa. Penso che gran parte dei palestinesi non voglia Hamas ma la liberazione e che veda il movimento islamico come l'unica forza in lotta per la liberazione. Se Oslo avesse funzionato i laici guiderebbero oggi i palestinesi, invece dal 1993 le cose sono andate sempre peggio e l'islam è rimasto l'estrema trincea della resistenza. Mi spaventa più l'involuzione israeliana delle oscillazioni ideologiche palestinesi perché storicamente, fuori dall'occidente, l'islam e la sinistra sono riusciti a lavorare nella stessa direzione».

In Iran, dove nel '79 le sinistre affiancarono Khomeini salvo esserne poi annientate, avrebbero molto da ridire... «È vero, in Iran non ha funzionato ma in Tunisia sì. Ogni Paese ha la sua storia e comunque l'islam politico iraniano deve essere riformato se vuole giocare un ruolo nella regione».

Non ha paura di evocare il genocidio dei palestinesi additando Israele. Ammetterà che gli altri non sono tutti angeli. «Non idealizzo Hezbollah né Hamas. La violenza politica è evidente, la sua radice meno. In Libano prima della fase coloniale, esisteva un'identità collettiva in cui le religioni convivevano. Il settarismo è arrivato con le potenze straniere».

La strada di Hezbollah è lastricata dalle lapidi di Samir Kassir, May Chidiac, Gebran Tueni, intellettuali uccisi per le loro critiche. C'è un Ilan Pappé nel mondo islamico? «Ne conosco molti. Ma nelle guerre di liberazione le critiche non sono benvolute, dubito che i partigiani italiani in lotta contro i nazifascisti ambissero al confronto democratico».

Ripete che c'è un prima del 7 ottobre. Può, nel dopo, un Iran ridimensionato riaprire gli Accordi di Abramo e il piano due popoli per due Stati? «Quella di due popoli per due Stati è una strada morta. E non vedo speranza nella politica israeliana futura: continuerà a virare a destra. Inoltre, non sono i popoli ma i regimi a volere gli Accordi di Abramo. E se gli Stati arabi diventassero democratici sarebbero ancora più ostili a Israele perché la causa palestinese incarna un sogno che essendo ancora in potenza potrebbe correggere gli errori dei Paesi già decolonizzati. L'unica via d'uscita dalla violenza è un'iniziativa internazionale volta a far nascere uno Stato democratico dal fiume al mare».

Uno Stato binazionale? «Uno Stato per gli ebrei e i palestinesi, rifugiati compresi».

E come dovrebbe chiamarsi? «Il nome non conta, potrebbe chiamarsi Nuova Palestina».

Una provocazione. E Israele? «Gli ebrei dovrebbero accettare di non essere più maggioranza nel nuovo Stato. L'alternativa è la guerra, seguita dalla scomparsa d'Israele. Non puoi pensare di vivere opprimendo un altro popolo in eterno».

La pace si fa con i nemici, insegna Oslo: Israele potrebbe stringere la mano a Hamas? «Dividersi la terra è impossibile. Forse non lo era nel '67 ma ora le colonie sono ovunque. Alla Palestina toccherebbe il 22%: non si parla di strette di mano ma di contenuti».

In Italia, a ridosso dell'anniversario del 7 ottobre, la senatrice Liliana Segre è stata accusata di sionismo. Riemerge l'antisemitismo in occidente? «L'antisemitismo c'è sempre stato e non sparirà. Credo però che oggi il razzismo sia peggiore dell'antisemitismo e che il bersaglio siano i musulmani. Mi dispiace per Segre ma focalizzarsi su un singolo è sbagliato. Ci sono tre tipo di antisemitismo: quello classico di antica matrice cattolica, quello radicato in alcuni ambienti musulmani minoritari e quello derivante dalla confusione tra ebraismo e Stato d'Israele che il sionismo ha molto voluto e che serve a Israele ma danneggia gli ebrei. Il sionismo è da sempre il male per gli ebrei».

Hanno visto di peggio, direi. Sono stati sterminati ben prima della nascita d'Israele. «L'idea di Herzl che per battere il nazionalismo nazista servisse un nazionalismo sionista è folle. Non a caso il sionismo nasce in Europa: non sarebbe mai venuto in mente agli ebrei del mondo arabo perché lì la convivenza era nei fatti. L'antisemitismo dilaga dalla sovrapposizione tra identità ebraica e Israele. L'unica luce oggi arriva dai giovani ebrei che, specie in America, iniziano a rifiutare quell'equivalenza».

CHIARIMENTI da parte della COMUNITA' PALESTINESE DI ROMA E DEL LAZIO:


 1) La manifestazione inizialmente era convocata dalla Comunità palestinese su una piattaforma assolutamente condivisibile.

2) I Giovani Palestinesi Italiani hanno fatto uscire una loro convocazione successiva per la stessa scadenza con un testo assolutamente non condivisibile che inneggiava al "7 ottobre inizio della rivoluzione".

3) Questo appello ha dato la scusa a Piantedosi per vietare la manifestazione;

4) La Comunità Palestinese e il Movimento Studenti Palestinese hanno deciso di non scendere in piazza il 5 ottobre e promuovono una nuova giornata per il 12, dal momento che l'attuale piattaforma non è frutto di una convocazione condivisa 

5) E' uscita una nuova piattaforma che ha punti non condivisibili. Per esempio: "sostegno incondizionato alla resistenza". Noi da sempre riconosciamo il diritto di resistenza, ma condanniamo attacchi contro civili oltre a non riconoscerci assolutamente nell'autoproclamato "asse della resistenza" che fa riferimento all'Iran. Non possiamo andare un giorno ai cortei insieme alla comunità curda gridando "donna, vita, libertà" e poi l'altro stare con Ayatollah e formazioni che fanno riferimento a varie forme di islam politico reazionario. La piattaforma inoltre contiene punti non unitari tra i palestinesi stessi e l'impostazione non a caso NON dà la priorità alla richiesta del "cessate il fuoco", che invece a noi sembra il punto fondamentale.  

6) Noi dunque abbiamo deciso di non aderire a documenti che non condividiamo pienamente e anzi rispetto ai quali dissentiamo su alcuni punti e, come in tante altre occasioni (per esempio la manifestazione del 28 ottobre del 2023) partecipiamo con le nostre posizioni illustrate in un comunicato stampa che vi è stato inviato. 

7) Rispetto all'esaltazione del "7 ottobre inizio della rivoluzione", noi ci sentiamo in dovere di far presente che queste posizioni isolano invece di allargare il fronte di chi chiede il cessate il fuoco, lo stop al genocidio, il riconoscimento dello stato di Palestina, la rottura della cooperazione militare, il boicottaggio e le sanzioni, ecc. Non a caso nelle convocazioni di manifestazioni all'estero le parole d'ordine sono simili alle nostre, e non a quelle che sono al centro dell'agenda del corteo del 5. 

8) Non siamo subalterni e codisti rispetto ad altre organizzazioni che hanno posizioni diverse dalle nostre. Noi andiamo in piazza con il nostro profilo ideale e programmatico. 

9) Ricordo che nei nostri congressi abbiamo sempre sostenuto la soluzione "due popoli due stati" con ritiro di Israele e dei coloni dai territori occupati illegalmente dal 1967 che è anche la posizione delle risoluzioni ONU, Cuba, Cina, Lula, ecc. e della Sinistra Europea. Si è aperta da tempo una riflessione intorno alla proposta di stato laico bi-nazionale in cui convivano i due popoli e le differenti religioni. Non è però quella espressa nella piattaforma. Noi ne discutiamo e ne discuteremo da internazionalisti sempre nel rispetto del popolo palestinese e della sua autodeterminazione.

10) Di fronte alla più potente macchina militare del Medio Oriente, supportata dal più grande complesso militare industriale del pianeta è nostro dovere lavorare perchè il nostro paese e l'Europa smettano di essere complici del genocidio, dell'occupazione illegale dei territori, dell'apartheid  della pulizia etnica. Noi non partecipiamo a gare tra chi è apparentemente più radicale sulla pelle di altri popoli. Cerchiamo di dare un contributo con umiltà e spirito unitario e internazionalista. Andiamo in piazza con la coerenza delle nostre posizioni.


Youssef Yousef Salman, presidente della Comunità Palestinese di Roma e del Lazio

La Piattaforma organizzativa dei Comunisti Anarchici

SEMPRE ATTUALE  UTILE LETTURA , CHE PROPONIAMO IN DIVERSE USCITE SU ARGOMENTI SPECIFICI , PER CONOSCERE O MEGLIO CONOSCERE  "LA PIATTAFORMA ORGANIZZATIVA DEI COMUNISTI ANARCHICI



VIII - ANARCHISMO E SINDACALISMO.

Noi consideriamo artificiosa e priva di ogni fondamento e di ogni buonsenso, la tendenza che oppone il comunismo anarchico al sindacalismo e viceversa.

Le nozioni di anarchismo e di sindacalismo appartengono a due diversi piani. Mentre il comunismo, cioè la società libera di lavoratori eguali, è lo scopo della lotta anarchica, il sindacalismo, cioè il movimento operaio rivoluzionario organizzato sindacalmente, non è che una delle forme di lotta rivoluzionaria di classe. Raccogliendo i lavoratori sulla base della produzione il sindacato rivoluzionario, come del resto ogni movimento di carattere professionale, non possiede una determinata ideologia, non possiede una concezione del mondo che risponda a tutte le complicate questioni sociali e politiche della realtà contemporanea. Esso riflette sempre l’ideologia di diversi gruppi politici, e precisamente di quelli che operano più intensamente fra i suoi aderenti.

Il nostro atteggiamento nei confronti del sindacalismo rivoluzionario viene chiarito da quanto diremo. Senza preoccuparci di risolvere qui, in anticipo, la questione del ruolo dei sindacati rivoluzionari all’indomani della rivoluzione, cioè di sapere se essi saranno gli organizzatori di tutta la nuova produzione, o se essi cederanno questo compito ai soviet operai, o ai consigli di fabbrica; noi pensiamo che gli anarchici devono partecipare al sindacalismo rivoluzionario, considerandolo come una delle forze del movimento operaio rivoluzionario. Tuttavia, la questione che si pone oggi non è di sapere se gli anarchici devono o meno impegnarsi nel sindacalismo rivoluzionario, quanto piuttosto di sapere il come e con quali obiettivi essi devono prendervi parte.

Noi consideriamo tutto il periodo trascorso fino ai giorni nostri -durante il quale gli anarchici partecipavano al movimento sindacalista rivoluzionario in qualità di militanti e di propagandisti individuali- come un periodo di relazioni artigianali degli anarchici con il movimento operaio sindacale.

L’anarcosindacalismo, che si sforza d’introdurre con forza le idee libertarie nell’ala sinistra del sindacalismo rivoluzionario, tramite la creazione di sindacati di tipo anarchico, rappresenta, sotto questo profilo, un passo avanti: ma esso non riesce ancora a liberarsi del tutto del metodo empirico. Giacchè l’anarcosindacalismo non pone bene in reciproco rapporto di necessità l’opera di "anarchizzazione" del movimento sindacalista con quella dell’organizzazione specifica delle forze anarchiche, esistente al di fuori di quel movimento. Orbene, solo a condizione dell’esistenza di un tale rapporto sono possibili l’anarchizzazione del sindacalismo rivoluzionario e l’impedimento di ogni possibile deviazione di quest’ultimo in senso opportunista e riformista.

Considerando il sindacalismo rivoluzionario unicamente come un movimento professionale di resistenza di lavoratori, privo di un’ideologia sociale e politica determinata e perciò impotente a risolvere da se stesso la questione sociale, noi riteniamo che il compito degli anarchici nei ranghi di questo movimento debba consistere nel tentativo di diffondervi le idee libertarie, di orientarlo anarchicamente, per trasformarlo in uno strumento attivo della rivoluzione sociale. Occorre comunque non dimenticare mai, che se il sindacalismo non troverà, al momento opportuno, il sostegno dell’ideologia anarchica, esso ripiegherà, volente o nolente, sull’ideologia di un qualsiasi partito politico statalista. Il sindacalismo francese, che un tempo brillava di parole d’ordine e di tattiche anarchiche, cadde poi sotto l’influenza dei comunisti da una parte, e soprattutto dall’altra parte sotto l’influenza dei socialisti opportunisti di destra. Si tratta di un esempio sintomatico.

Comunque l’azione degli anarchici nelle file del movimento sindacale operaio rivoluzionario non potrà essere svolta se non a condizione che la loro opera sia coerentemente legata e sincronizzata con l’attività dell’organizzazione anarchica che si trova fuori del sindacato. In altre parole, noi dobbiamo aderire al movimento operaio rivoluzionario come forza organizzata, responsabile del lavoro svolto nei sindacati di fronte all’organizzazione anarchica generale, e orientata da questa organizzazione.

Senza limitarci alla creazione di sindacati anarchici, noi dobbiamo cercare la nostra influenza ideologica su tutto il sindacalismo rivoluzionario, organizzato nelle più diverse forme (gli I.W.W., le Unioni professionali russe, ecc…). Potremo raggiungere questo scopo mettendoci al lavoro solo come collettivo anarchico rigidamente organizzato, e non a piccoli gruppi empirici senza alcun legame organizzativo e senza alcuna convergenza teorica fra loro.

Raggruppamenti anarchici nelle imprese e nelle officine, impegnati alla creazione di sindacati anarchici, in lotta nei sindacati rivoluzionari per la preponderanza delle idee libertarie nel sindacalismo; raggruppamenti orientati nella loro azione da una organizzazione anarchica generale: ecco il senso e le forme dell’atteggiamento degli anarchici di fronte al sindacalismo rivoluzionario ed ai movimenti sindacali rivoluzionari ad esso legati.