Una riflessione a partire dalle vicende del Venezuela
Oppressi e oppressori
La storia
dimostra, in termini più generali, che le nazioni e i popoli oppressi una volta
liberatesi dal dominio di altri popoli e nazioni, divengono, o possono
diventare a loro volta, nazioni e popoli opprimenti.
Gli Stati Uniti
che furono il primo grande paese a liberarsi dal dominio coloniale divennero a
loro volta una nazione colonizzatrice. Gli ebrei vittime secolari dell’odio
razzista e delle persecuzioni fino alla tragedia dell’olocausto, hanno prodotto
il sionismo il quale, una volta realizzato il suo stato nazionale, si è trasformato
in oppressore del popolo palestinese: d’altro canto le varie compagini
nazionalistiche palestinesi e tutti i nemici giurati di Israele predicano la
distruzione dello stato e del popolo israeliano per ragioni nazionali, raziali
e religiose.
In realtà qualunque
teoria nazionale, dalla più moderata a quella più radicale, così come dal
populismo più demagogico, fino alle esperienze più avanzate e democratiche
quali quella Zapatista in Chapas, hanno in comune l’assenza di universalità,
sia perché la rifiutano a priori (nazionalismo, peronismo, populismo,) sia
perché non possono esprimerla e rappresentarla per condizioni oggettive di
arretratezza. (indipendentismo, guevarismo, zapatismo).
Ciò che i paesi
arretrati dovrebbero esprimere è la transizione al comunismo, ma ciò che
concretamente possono esprimere è la stagnazione economica e la crisi del
sottosviluppo oppure, in alternativa a questo tragico scenario, l’orizzonte
oppressivo della dittatura quale unico mezzo per conferire alle deboli
borghesie di questi paesi la possibilità di una modesta accumulazione, che
implica lo sfruttamento delle rispettive classi subalterne per un “interesse
nazionale” di affrancamento dall’imperialismo che può giungere allo scontro
aperto con esso, fino alla subordinazione ad una nuova potenza imperialistica
che intende così accrescere il proprio ruolo nell’area di riferimento.
Il capitalismo
nel corso del suo sviluppo si è internazionalizzato creando un mercato mondiale
e dando luogo, per la prima volta nel corso dell’umanità, ad un processo
storico universale: in un simile processo il proletariato è divenuto l’unica
classe capace di raccogliere per intero questa universalità e di trasmettere un
processo emancipatore non di un’unica classe, fosse anche il proletariato
medesimo, ma di tutta l’umanità.
Il proletariato
è l’unica entità sociale universale capace di schierarsi contro il
particolarismo della borghesia che per difendere i suoi interessi di classe non
generale ha rinnegato gli ideali di libertà, fraternità e uguaglianza che
animarono in Francia la grande rivoluzione borghese del 1789.
In un mondo
interamente dominato dal capitalismo, laddove i paesi più arretrati sopportano
il sanguinoso scenario del conflitto imperialistico tra potenze, le lotte di
liberazione nazionale non hanno più alcuna capacità di trasformarsi in processi
di emancipazione del proletariato dei paesi arretrati: in un simile contesto”
la rivoluzione a tappe” che consta dell’appoggio tattico alle borghesie
nazionali assume la fisionomia di una vera e propria utopia reazionaria, poiché
i processi di trasformazione sociale e di concentrazione del proletariato nei
paesi in via di sviluppo, assieme alle rotte di migrazione della forza lavoro
sono divenute prioritarie rispetto alla questione nazionale.
A questo punto
la domanda, frequente, che alcuni compagni pongono e cioè - “cosa dovrebbero
fare i rivoluzionari, e tra questi gli anarchici in Irak, in Palestina, o in
Siria o in Venezuela non ha senso alcuno, sia perché è intrisa di umori
moralistici, sia perché non è rivolta alla stratificazione sociale e di classe
propria di quelle aree nel contesto della competizione imperialistica
internazionale sconvolta, aspetto questo fondamentale, dal comparire di nuovi
importanti e contraddittori soggetti, Cina, India, Europa, Brasile, Russia.
Un inedito assetto mondiale
Questo
progressivo sconvolgimento di un assetto storico secolare, costituitosi nel
1500 con il decollo della potenza europea, con il rifluire dell’Asia e con il
profilarsi all’orizzonte di quella che sarebbe poi divenuta la principale
potenza imperialistica mondiale, gli USA, origina oggi un assetto mondiale
nuovo ed aperto a scenari in larga parte inediti, caratterizzato dal
progressivo declino dell’egemonia USA, dal progressivo consolidamento di un polo
imperialistico europeo (un processo questo certamente contraddittorio –
l’Europa esprime forze che faticano a stare insieme ma che devono, comunque,
fare sistema in quanto sono spinte all’unità dalla competizione imperialistica
sui mercati internazionali), dal rapido sviluppo della Cina verso un ruolo di
grande potenza imperialistica, dallo sviluppo capitalistico dell’India e da
quello continentale del Brasile e dal ruolo della Russia. E’ questo, ad
esempio, il contesto mondiale in cui collocare le guerre e i conflitti in Iraq
e in Siria e sarebbe riduttivo ritenere che tali conflitti siano combattuti
solo per il petrolio e per le altre fonti di energia quando, invece, essi hanno
assunto e assumono anche un ruolo strategico: un monito lanciato dagli USA nei
confronti dell’Europa, della Russia e della Cina, non ostante che questo ruolo
debba fare i conti con gli assetti politici e istituzionali obiettivamente
variabili e contraddittori che assumono le potenze imperialistiche, spesso
soggette a spinte centripete al fine di difendere interessi particolari.
Ora, noi che
risiediamo in pace non dovremmo sprecarla questa nostra condizione di oggettivo
privilegio.
Dovremmo
smetterla di ragionare come se fossimo tutti i giorni sotto i bombardamenti.
Avendo la fortuna
di risiedere lontano dalle situazioni di pericolo dobbiamo invece analizzare
freddamente ciò che è accaduto ieri per capire ciò che sta accedendo oggi,
evitando di fare finta che la contrapposizione di classe, temporaneamente
sospesa o modificata in alcune aree o nazioni dall’andamento delle fasi
storiche e dal dramma della guerra imperialistica, cessi di esercitare il suo
ruolo polarizzante.
La
mistificazione fondamentalistica e nazionalistica, così come la menzogna
imperialista sono complementari, allignano e si sviluppino proprio in assenza
di analisi corrette: nel fuoco della battaglia e nella distruzione della guerra
non c’è spazio per disquisizioni sociologiche.
Il fatto è che
ognuno deve svolgere il ruolo che le contingenze storiche determinano, per cui
appare immorale sul piano etico e gravissimo su quello della coerenza
rivoluzionaria, che chi se ne sta comodamente seduto al computer finga di
giocare alla guerra e si atteggi quando a guerrigliero, quando ad apostolo se
non, addirittura a megafono dei conflitti sociali nei paesi arretrati, quando a
turista della rivoluzione dispensando consigli su come, dove e quando
combattere il nemico israeliano o americano che sia, e se questa opposizione
debba essere violenta sino alla strage indiscriminata di civili, o se fermarsi
ai soli militari, o se aborrita la suddetta si debba procedere a contrastare
l’occupazione militare per vie pacifiche diventando pacifisti integrali e
testimoniali senza se e senza ma; se sia corretto “comandare ubbidendo” dalle selve alle
metropoli imperialistiche, o/e appoggiare o contrastare la resistenza irakena,
palestinese o siriana tracciando distinguo tra bomba e bomba, uccisione e
uccisione, massacro e massacro, tra sangue e sangue.
A parte la
filantropia che ha una sua dignità ma non configura alcun progresso sul piano
rivoluzionario, il resto sono tutte chiacchiere.
La guerra è una
dinamica oggettiva che si beffa del massimalismo e del soggettivismo e di ogni
altra buona intenzione, di ogni etica e di ogni dolore per imporre leggi
proprie, oggettive, dolorose e in eludibili.
Nei paesi
arretrati ciò che oggi manca è, tra le molte cose importanti, il ruolo della
minoranza agente volta a selezionare i quadri rivoluzionari idonei ad
articolare un chiaro progetto internazionalista, per saldare gli interessi del
proletariato dei paesi arretrati con quelli identici del proletariato di tutto
il mondo, con la significativa ma circoscritta eccezione del ruolo e
dell’azione del PKK in Rojava.
g.a.