Aumenta incontrastata la pressione
del Capitale europeo nei confronti delle classi subalterne del continente, che
in una fase di contrazione produttiva e di conseguente riduzione delle
risorse, concentra la sua attenzione famelica su più fronti.
Sul fronte del lavoro assistiamo al continuo restringimento delle conquiste e
dei diritti acquisiti in decenni di lotte dai lavoratori e dalle lavoratrici,
con lo scopo evidente da una parte di ridurre all'osso i costi produttivi, a
favore del profitto, e dall'altra di contrastare la risposta, se pur ancora
insufficiente, della classe lavoratrice, con il tentativo di espellere dalle
fabbriche qualsiasi forma di reale dissenso, specialmente se esso veste i
panni rappresentativi dell'autorganizzazione e dell'autonomia di classe. Tale
attacco si traduce in espansione del lavoro non contrattato, aumento degli
orari lavorativi con basse tutele e bassissimi salari e conseguente aumento
dell' intensità dello sfruttamento.
Intanto continua e s'intensifica l'assalto alle risorse ed ai beni collettivi.
Abbiamo visto che fine hanno fatto i referendum sull'acqua: la vittoria
elettorale non supportata da una reale dimostrazione di forza nei territori,
non è servita ad arrestare la tendenza alla privatizzazione delle risorse
collettive. E così come sempre avviene in un periodo di crisi economica e di
ulteriore impoverimento delle classi sociali più deboli, i capitalisti
aumentano le loro ricchezze con la svendita delle proprietà pubbliche mobili
ed immobili; spesso usando la scusa del ripianamento del debito pubblico,
nascondendo ad arte che non è nemmeno con delle entrate una tantum che si
possono risarcire gli sprechi del parassitismo borghese. Siamo al piglia
adesso più che poi, grande esempio di lungimiranza capitalista! La stessa
lungimiranza che non fa mollare l'osso del TAV allo Stato e al Capitalismo
italiano, pubblico e privato, allettati dai guadagni facili veloci e
devastatori, alimentati dalle risorse pubbliche.
Lo stesso avviene per il welfare, che dopo decenni di lotte sindacali e
sociali era considerato uno dei più avanzati dell'occidente, e che subisce
oggi un'erosione continua ed inesorabile, mettendo sempre più in discussione
concetti che ritenevamo inattaccabili, come quelli di istruzione e assistenza
sanitaria accessibili e di qualità per tutti. Per non parlare delle pensioni,
che dopo aver subito la speculazione dei cosiddetti "fondi pensione", sono
sempre più ridotte, per i sempre più rari fortunati che ne beneficeranno, a
puri simulacri di sopravvivenza. In un momento in cui, a causa della
deindustrializzazione, con l'aumento della disoccupazione dovuta alla chiusura
di fabbriche ed alle ristrutturazioni, sarebbe necessario un intervento nella
modifica degli ammortizzatori nel senso della loro estensione alle decine di
migliaia di lavoratori rimasti senza reddito.
Il tutto avviene in un contorno dominato da una profonda crisi delle
rappresentanze storico-istituzionali, politiche e sindacali della sinistra,
che vuoi per incapacità e/o per complicità, non riescono più a impersonare,
nemmeno parzialmente le esigenze delle classi sociali subalterne.
Il risultato è sotto gli occhi di
tutti: la deindustrializzazione con la progressiva chiusura delle fabbriche;
l'aumento dell'esercito dei disoccupati, i suicidi di chi non riesce più a
garantire una vita dignitosa a se stessi e ai propri cari; la privatizzazione
dei servizi integrati con il conseguente peggioramento della gestione e
l'aumento delle bollette; la progressiva distruzione della sanità e della
scuola pubbliche; la distruzione del nostro patrimonio naturale;
l'inquinamento di interi territori con la scusa della produzione necessaria al
mantenimento dell'occupazione. Un generale impoverimento sociale ed economico
che colpisce prevalentemente e con più intensità le classi storicamente
sfruttate dal Capitale ma che intacca oggi anche la prosperità del cosiddetto
"ceto medio", il cui malcontento, così come storicamente accade, viene
pilotato ed orchestrato ad arte dalla destra fascista, protetta e sostenuta
dalle forze di Stato. Mentre ben altra sorte tocca a tutte le manifestazioni
di dissenso e di opposizione sociale che si rifanno ai valori solidali e di
classe della sinistra.
Oltre
alla crisi strutturale del capitalismo ciò che determina questo scenario sono
anche le politiche imposte dalle grandi borghesie europee, specialmente quelle
finanziarie, degnamente supportate dalla BCE, che impone in tutta Europa la
sua dittatura finanziaria fatta di autoritarismo padronale e di vincoli di
bilancio.
In questo panorama
c'è chi propone soluzioni nazionaliste come l'uscita dall'euro ed il ritorno
alla moneta nazionale, il tutto condito dagli slogan tipici dell'ultra destra
fascista ed identitaria. Soluzioni nazionaliste, che vengono proposte come se
fossero la panacea alle macerie prodotte, è importante continuare a ribadirlo,
dalle disfunzioni strutturali, fisiologiche e periodiche del sistema economico
capitalista.
Non esistono
soluzioni nazionaliste buone per le classi subalterne. Esse sono figlie
dell'interclassismo populista e social-fascista. Anche se spesso, con le loro
sirene nazional-popolari incantano molte correnti stataliste della sinistra
marxista. Questo succede specialmente quando il panorama sociale è
caratterizzato dalla debolezza dei rapporti di forza delle classi sociali
subalterne e c'è chi pensa di risolvere i problemi legati allo sfruttamento
economico delegando lo Stato a prendere misure di tipo protezionistico. Ma
l'uscita dall'euro, ad esempio, e la conseguente svalutazione monetaria
nazionale, provocherebbe soltanto dei benefici momentanei e farebbe
precipitare ben presto in una situazione di crisi economica in cui sarebbero
sempre le classi economiche più deboli a pagare il prezzo più alto.
Non c'è una scorciatoia quindi: o cambiamo i rapporti di forza in nostro
favore con la lotta e l'azione diretta nei territori e nei luoghi di lavoro, o
rimarremo sempre preda delle mistificazioni e dell'inquinamento delle
ideologie borghesi.
Occorre
quindi che l'insofferenza e lo sconforto individuale diventino, nei territori
e nei luoghi di lavoro, rabbia collettiva e organizzazione di classe a prassi
libertaria, con la capacità sociale di lottare per tutti i diritti primari, da
quello dell'abitare, a quello dell'assistenza sanitaria, e la capacità
politica di respingere qualsiasi sirena nazionalistica ed avanguardistica.
Nuove forme di rappresentanza non possono fondarsi che sulla ricostruzione
delle organizzazioni di massa, capaci di difendere gli interessi immediati dei
lavoratori su base anticapitalistiche, nei posti di lavoro e nel territorio, e
di un movimento politico che attinga dall'anarchismo di classe, organizzato e
rivoluzionario, strumenti e contenuti per la difesa degli interessi storici
delle classi subalterne, nella prospettiva di un cambiamento sociale comunista
e libertario.
Tutto ciò
significa seminare, li dove i nostri e le nostre militanti sono presenti, la
pratica dell'autogestione e dell'azione diretta, e di propagandare con tutti i
mezzi che abbiamo a disposizione, il germe dell'autonomia di classe, cercando
e facilitando la nascita di forme di resistenza, di autorganizzazione e
autogestione economica e sociale. Come abbiamo già detto in altri nostri
comunicati: "La democrazia diretta non si improvvisa ma si coltiva, non passa
solo dai forum ma cresce nei posti di lavoro, ha bisogno della solidarietà,
dell'autogestione, della memoria, della lotta di classe".
Consiglio dei
Delegati
Federazione dei Comunisti Anarchici
Federazione dei Comunisti Anarchici
Reggio Emilia, 15 dicembre 2013