
L'Eurozona nomina nuovi dittatori mentre si diffonde l'Occupy Movement
Date: Thu, 2011-11-17 12:55
Questa volta non è stato necessario nè mandare carriarmati ed autoblindo nè spianare i fucili. La scorsa settimana, nel giro di una notte, greci ed italiani si sono ritrovati con i loro legittimi governi rimpiazzati da una nuova dittatura post-moderna con l'investitura di "tecnocrati" vicerè da parte della BCE. Nella nuova Eurozona, quindi, il vecchio dogma liberale per cui capitalismo moderno e democrazia sono strettamente connessi, si è tramutato in nient'altro che una fatua storiella.
Nel 1938, in una trasmissione radio diretta agli USA, Churchill avvertiva gli Americani che "si spengono le luci" in tutta Europa. Ora, da un punto di vista anarchico, i governi eletti nelle democrazie liberali del capitalismo non sono certo fari di luce, impediti come sono dalla possibilità di raddrizzare le ingiustizie economiche perchè devono rispettare l'inviolabile proprietà privata nelle mani dell'1% della popolazione e costretti all'impotenza di fronte alle forze dei mercati. Eppure, la loro messa fuori gioco, uno dopo l'altro, in tutta l' Eurozona, non è certo cosa da meritare appena un distratto commento. Anzi, è quasi sorprendente quanta poca protesta vi sia stata da parte dei media nominalmente liberali di fronte a questo impeto di nuove dittature in Europa.
Ricordiamoci che alla fine di ottobre, una riunione sulla crisi allargata ai leaders dell'Eurozona (EZ) terminò con l'annuncio di un "accordo definitivamente conclusivo e finale" per risolvere la crisi del debito greco. La settimana dopo, il primo ministro greco Papandreou, sentendo che sarebbe stato costretto alle dimissioni dai suoi rivali nel PASOK, con l'appoggio dell'opposizione, dichiarava che non avrebbe dato corso alle misure di austerità senza sottoporle ad un referendum del popolo greco. Il fatto che si trattasse solo di un cinico ed egoista stratagemma all'interno di una trattativa, senza alcuna intenzione reale di far svolgere veramente il referendum, non deve comunque farci sottovalutare il fiume di accuse al vetriolo che da tutte le parti si sono riversate contro l'idea che il popolo greco potesse essere consultato su questioni economiche decisive per il suo futuro.
Papandreou è stato infine costretto alle dimissioni da una campagna di pressioni sia all'interno della Grecia che da parte di esponenti del nucleo franco-tedesco, ora organizzatosi in "Groupe de Francfort" (GdF), favorevole ad un governo di "Unità Nazionale" guidato dal non-eletto Lucas Papademos, già presidente della banca centrale greca (durante il periodo in cui lavorava per Goldman Sachs per acconciare i conti dello stato), e più recentemente Vice-Presidente della BCE ed associato presso il Centro di Studi Finanziari dell'Università di Francoforte.
A proposito di Francoforte, è bene presentare i nostri nuovi governanti, il Frankfurt Group. E' stato costituito lo scorso 19 ottobre nel corso di una festa di pensionamento presso la Frankfurt Opera House in occasione del ritiro del presidente della BCE, Jean-Claude Trichet. Vi fanno parte la nuova presidente francese del FMI, Christine Lagarde (ex-ministro del governo Sarkozy), il nuovo presidente della BCE, l'italiano Mario Draghi, il presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione Europea José Manuel Barosso, il presidente del Cosiglio Europeo Herman Van Rompuy, il commissario UE per gli Affari Economici e Monetari Olli "il colpitore" Rehn, e naturalmente la Merkel e Sarkozy (o anche "Merkozy" come sono chiamati nei circoli diplomatici e giornalistici). Effettivamente si tratta dei principali interessati all'interno della Troika che stanno gestendo la Grecia, l'Irlanda, il Portogallo ed ora l'Italia, a cui si aggiungono i 2 leaders politici. Questa sorta di giunta del GdF non è facilmente descrivibile tanta è la sua informalità e la sua opacità. Nessun testo pubblicato, nessun fondamento legale, nessuna responsabilità verso terzi. Eppure è questa ora la struttura dominante di governo sia per l'Eurozona che, per estensione, per l'intera UE. Detto questo, bisogna anche rendersi conto che tale gruppo è ben lungi dall'avere posizioni unitarie sulle questioni più importanti - grande disaccordo e distanze esistono tra Sarko e la Merkel e la BCE1. Persino una tale struttura così ristretta ed autocratica si dimostra allo stato attuale non in grado di superare la paralisi nel cuore dell'Europa.
Nel frattempo il panico verso la situazione greca ha messo al tappeto anche l'Italia. Berlusconi era già incorso nelle ire della giunta del GdF per la sua incapacità di far passare presso i suoi imprevedibili alleati e in un parlamento in perenne caos un pacchetto di austerità fatto di brutali tagli. Era già stato convocato per un pre-vertice prima del summit sulla crisi del 25-27 e gli era stato detto che era meglio tornarsene a casa per preparare qualcosa di meglio da portare ad un secondo vertice. E' stato poi costretto a comparire davanti al summit come uno scolaretto negligente per dire che il cane gli aveva mangiato i compiti per casa. Il GdF era ormai giunto alla conclusione che il navigato crooner nonchè romeo ormai ottuagenario era troppo preso dai suoi affari di sesso e dagli scandali per corruzione per poter "prendere in mano" la situazione dell'Italia. Durante la settimana del referendum fasullo sulla crisi greca, i rendimenti sui BTP italiani a 10 anni erano saliti in modo allarmante. Alla fine della prima settimana di novembre, lo spread tra i titoli italiani decennali ed i bund tedeschi decennali era salito sopra la soglia dei 450 punti base provocando da parte delle clearing houses (stanze di compensazione, agenzie per il corretto funzionamento della Borsa, ndt) una chiamata ad aumentare il margine (deposito cauzionale, ndt)2.
Ancora una volta, le solite fonti dei media hanno iniziato a dire che l'unica soluzione al "problema Berlusconi" era la sua sostituzione con un un governo "tecnocratico". I rendimenti sui titoli italiani erano rimasti alti per tutta la settimana, tanto da far chiudere i rubinetti del credito per il mercato italiano e da spingere i capitalisti italiani ad unirsi alla protesta per chiedere la testa di Berlusconi. Si scopre ora che il nuovo presidente della BCE, l'taliano Mario Draghi, aveva deliberatamente strozzato il riacquisto di titoli italiani da parte della BCE rispetto ai livelli di acquisto degli ultimi mesi, per tenere i rendimenti abbastanza alti da costringere Berlusconi a lasciare. E' chiaramente visibile come alle spalle delle "forze del mercato" ci sia l'intervento del GdF. E così, infine, domenica 13 novembre, Berlusconi ha finalmente gettato la spugna, per la gioia della maggior parte degli italiani. Ma la folla in festa che ha seguito l'auto del premier per le strade di Roma lanciandogli addosso monetine ed il coro che intonava l'Alleluja dal Messia di Handel non devono farci dimenticare il fatto che Berlusconi è stato rovesciato dalla giunta del GdF e non dalla classe lavoratrice italiana, è stato costretto alle dimissioni per non essere riuscito a portare a fondo l'attacco contro i lavoratori e non per la sua quasi universale impopolarità.
Il sostituto di Berlusconi, Mario Monti, è un eurocrate, della specie dei non-eletti, nominato commissario europeo nella metà degli anni '90. Durante il suo mandato presso la Commissione Europea si è distinto col provvedimento anti-Microsoft e per aver bloccato la fusione tra la Honeywell e la General Electric. Monti è un economista accademico che dice di se stesso di essere “il più tedesco degli economisti italiani” ed è presidente della Bocconi, una università privata di MIlano per la formazione finanziaria. Oltre ai suoi incarichi accademici e di pensatore europeo, Monti è anche consulente internazionale per la Goldman Sachs e per la Coca-Cola, come pure presidente europeo per la Commissione Trilaterale e del direttivo del gruppo Bilderberg.
Con un curriculum vitae del genere, ci si può anche perdonare di pensare che “Super” Mario, insieme a Papademos ed al nuovo capo della BCE Mario Draghi, anche quest'ultimo ex-consulente di Goldman Sachs, diano carne ad una visione da teorici della cospirazione, quale quella della strisciante conquista del mondo da parte di un oscuro numero di “banchieri internazionali". In effetti il filo conduttore che lega tutte e tre le cose passa, più prosaicamente, per Francoforte (e Bruxelles) piuttosto che per New York. L'idea che il governo di Angela Merkel e la classe capitalista tedesca siano marionette che danzano la musica suonata da Goldman Sachs o dai Rockefeller vola di fronte alla storia, di fronte alla realtà geopolitica e di fronte al senso comune.
Ma intanto la transizione verso i nuovi regimi "tecnici" post-democratici in Grecia ed in Italia è lungi dall'essere finita. Dopo una breve tregua subito dopo l'ignominiosa uscita di scena di Berlusconi, lo spread tra titoli italiani e bund tedeschi è ritornato a toccare i 530 punti base. Ancora peggio, lo spread spagnolo ha superato (nella giornata di martedì 15 novembre) la soglia dei 450 nella zona della morte della clearing house, pur in vista delle elezioni generali previste per domenica 20 novembre. A meno che la situazione cambi o il GdF dia semaforo verde alla BCE per comprare più titoli spagnoli, anche la Spagna potrebbe finire nelle mani della Troika ben prima che si formi un nuovo governo.
E di fronte a tutto questo, qual è la risposta di quei grandi difensori della democrazia liberale quali il Times irlandese, la RTÉ, il Guardian o la BBC? Beh... Non tanto quanto quello che accade. C'è un gran parlare delle meraviglie delle amministrazioni “tecnocratiche” per il lavoro fatto in circostanze difficili, le affermazioni dei commentatori del tipo “le elezioni ora creerebbero semplicemente ulteriori ritardi ed incertezza sui mercati” vengono riportate senza commenti. E da nessuna parte, assolutamente da nessuna parte, sentirete una vocina che dica quanto tutto questo potrebbe non c'entrare nulla con la visione della democrazia liberale che ci inculcano nelle teste da più di mezzo secolo a questa parte. Come la storia del cane che non abbaia in Sherlock Holmes, così i cani dei nostri media intemerati hanno deglutito, svuotato le viscere sul pavimento e sono sgattaiolati a nascondersi in un angolo.
Allora cosa dobbiamo fare di fronte alla nascita di un governo fatto di diktat in Europa? Per prima cosa dobbiamo vedere qualcosa che forse non è immediatamente evidente. La forza motrice che sta dietro questa mossa del nucleo franco-tedesco e dietro la prassi di questi nuovi organismi burocratici ed autocratici è fatta di debolezza e non di potenza. E' la fragilità stessa del rapporto franco-tedesco e la mancanza di accordo su questioni fondamentali che sta in parte procurando questo ritiro in un unilateralismo forzato e precario.
In secondo luogo, nonostante le apparenze, il paese che potrebbe subire i contraccolpi maggiori da un collasso dell'euro o dall'uscita dall'euro dei suoi paesi in “deficit”, è proprio la Germania. L'economia tedesca è costruita su un surplus di esportazioni verso i paesi dell'Eurozona con un deficit dell'import/export. Se l'Eurozona si riduce ad una sorta di “Marca del Nord” composta da Germania, Austria, Olanda, Lussemburgo e Finlandia e, possibilmente, Francia (anche se improbabile, data la sua esposizione massiccia verso il debito italiano), il differenziale di scambio tra la zona "Settentrionale" e la UE del sud e periferia schizzerà così in alto da rendere invendibili le esportazioni tedesche nei loro principali mercati.
Questo non vuole dire che l'Irlanda ed altri paesi della "periferia" attualmente oggetto di dominio della Troika non soffirebbero di un maggiore ed ulteriore collasso economico da un'uscita disordinata dall'euro, ma siamo già di fronte alla lenta e progressiva devastazione della “morte da mille tagli" che ci aspetta nei decenni di austerità previsti dall'attuale piano del GdF per cercare di esternalizzare le contraddizioni del Nucleo, "facendo pagare ai PIIGS” le perdite di tutto il sistema bancario europeo.
Questo piano di austerità si è già spinto oltre il previsto programma di drastici tagli al settore pubblico e di privatizzazioni forzate, tanto da diventare un programma di tassazione diretta sui cittadini delle periferie. Non solo in Irlanda ma anche in Grecia e molto presto in Italia, verranno emesse nuove imposte sulla casa per cercare di farci pagare il crollo della bolla finanziaria globale europea e mondiale. Il nostro rifiuto di pagare, non solo come irlandesi, greci o italiani, ma come lavoratori europei che resistono alla dittatura del Frankfurt Group, è l'inizio di un progetto collettivo non solo per resistere ma per approfittare della debolezza del GdF con lo slogan, “le difficoltà della giunta di Francoforte sono l'opportunità dei lavoratori europei". E così forzare la riapertura delle questioni dei processi costitutivi europei sulla base di una vera democrazia, tanto economica quanto politica, dato che la inseparabilità dei due termini è stata definitivamente dimostrata dagli oscuri sviluppi di questi giorni.
WSM(traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali)
Note
1. Economist: The euro's Frankfurt Group
2. L'ultima affermazione necessita di una breve parentesi esplicativa. Banche ed altri investitori istituzionali che detengono titoli di debito pubblico spesso li usano sui mercati come una sorta di garanzia per pronti-contro-termine (dal riacquisto) per prestiti in contanti. Effettivamente vendono i titoli con un accordo sul loro riacquisto in futuro ad un prezzo più alto. Per evitare il rischio del compratore di tenersi obbligazioni (col valore incerto) qualora il venditore non potesse mettere a disposizione il contante nel tempo prestabilito, la grande maggioranza di questi contratti avviene tramite una camera di compensazione (clearing house) che sostanzialmente assicura i contanti del compratore e le spese del venditore (mutuatario) con una percentuale della transazione, denominata margine. Nel caso della maggiore camera di compensazione europea, la LCH Clearnet, questo margine è del 5%. Nell'ottobre 2010, la LCH ha preso la decisione (vedi LCH Clearnet Circular 2692, Management of Sovereign Credit Risk for RepoClear Service) che ogni 10 titoli annuali (i più popolari) che superassero del 4,50% espresso in 450 punti base oltre il “benchmark” a 10 anni - nel caso dell'Eurozona, i titoli tedeschi - si sarebbe innescata una crescita del margine dal 5% fino al 20%. Il che significa che le banche o altre agenzie di investimento con prestiti hanno bisogno di vendere assets per ottenere contanti per pagare i costi aggiuntivi. Se gli assets in loro possesso sono titoli della stessa origine, si innesca rapidamente un circolo vizioso quale quello che ha spinto sia l'Irlanda che il Portogallo in amministrazione controllata negli ultimi 12 mesi. I titoli italiani sono stati oggetto di questo aumento del margine (anche se solo del 5%) nella giornata di mercoledì 9 novembre.
Date: Thu, 2011-11-17 12:55
Questa volta non è stato necessario nè mandare carriarmati ed autoblindo nè spianare i fucili. La scorsa settimana, nel giro di una notte, greci ed italiani si sono ritrovati con i loro legittimi governi rimpiazzati da una nuova dittatura post-moderna con l'investitura di "tecnocrati" vicerè da parte della BCE. Nella nuova Eurozona, quindi, il vecchio dogma liberale per cui capitalismo moderno e democrazia sono strettamente connessi, si è tramutato in nient'altro che una fatua storiella.
Nel 1938, in una trasmissione radio diretta agli USA, Churchill avvertiva gli Americani che "si spengono le luci" in tutta Europa. Ora, da un punto di vista anarchico, i governi eletti nelle democrazie liberali del capitalismo non sono certo fari di luce, impediti come sono dalla possibilità di raddrizzare le ingiustizie economiche perchè devono rispettare l'inviolabile proprietà privata nelle mani dell'1% della popolazione e costretti all'impotenza di fronte alle forze dei mercati. Eppure, la loro messa fuori gioco, uno dopo l'altro, in tutta l' Eurozona, non è certo cosa da meritare appena un distratto commento. Anzi, è quasi sorprendente quanta poca protesta vi sia stata da parte dei media nominalmente liberali di fronte a questo impeto di nuove dittature in Europa.
Ricordiamoci che alla fine di ottobre, una riunione sulla crisi allargata ai leaders dell'Eurozona (EZ) terminò con l'annuncio di un "accordo definitivamente conclusivo e finale" per risolvere la crisi del debito greco. La settimana dopo, il primo ministro greco Papandreou, sentendo che sarebbe stato costretto alle dimissioni dai suoi rivali nel PASOK, con l'appoggio dell'opposizione, dichiarava che non avrebbe dato corso alle misure di austerità senza sottoporle ad un referendum del popolo greco. Il fatto che si trattasse solo di un cinico ed egoista stratagemma all'interno di una trattativa, senza alcuna intenzione reale di far svolgere veramente il referendum, non deve comunque farci sottovalutare il fiume di accuse al vetriolo che da tutte le parti si sono riversate contro l'idea che il popolo greco potesse essere consultato su questioni economiche decisive per il suo futuro.
Papandreou è stato infine costretto alle dimissioni da una campagna di pressioni sia all'interno della Grecia che da parte di esponenti del nucleo franco-tedesco, ora organizzatosi in "Groupe de Francfort" (GdF), favorevole ad un governo di "Unità Nazionale" guidato dal non-eletto Lucas Papademos, già presidente della banca centrale greca (durante il periodo in cui lavorava per Goldman Sachs per acconciare i conti dello stato), e più recentemente Vice-Presidente della BCE ed associato presso il Centro di Studi Finanziari dell'Università di Francoforte.
A proposito di Francoforte, è bene presentare i nostri nuovi governanti, il Frankfurt Group. E' stato costituito lo scorso 19 ottobre nel corso di una festa di pensionamento presso la Frankfurt Opera House in occasione del ritiro del presidente della BCE, Jean-Claude Trichet. Vi fanno parte la nuova presidente francese del FMI, Christine Lagarde (ex-ministro del governo Sarkozy), il nuovo presidente della BCE, l'italiano Mario Draghi, il presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione Europea José Manuel Barosso, il presidente del Cosiglio Europeo Herman Van Rompuy, il commissario UE per gli Affari Economici e Monetari Olli "il colpitore" Rehn, e naturalmente la Merkel e Sarkozy (o anche "Merkozy" come sono chiamati nei circoli diplomatici e giornalistici). Effettivamente si tratta dei principali interessati all'interno della Troika che stanno gestendo la Grecia, l'Irlanda, il Portogallo ed ora l'Italia, a cui si aggiungono i 2 leaders politici. Questa sorta di giunta del GdF non è facilmente descrivibile tanta è la sua informalità e la sua opacità. Nessun testo pubblicato, nessun fondamento legale, nessuna responsabilità verso terzi. Eppure è questa ora la struttura dominante di governo sia per l'Eurozona che, per estensione, per l'intera UE. Detto questo, bisogna anche rendersi conto che tale gruppo è ben lungi dall'avere posizioni unitarie sulle questioni più importanti - grande disaccordo e distanze esistono tra Sarko e la Merkel e la BCE1. Persino una tale struttura così ristretta ed autocratica si dimostra allo stato attuale non in grado di superare la paralisi nel cuore dell'Europa.
Nel frattempo il panico verso la situazione greca ha messo al tappeto anche l'Italia. Berlusconi era già incorso nelle ire della giunta del GdF per la sua incapacità di far passare presso i suoi imprevedibili alleati e in un parlamento in perenne caos un pacchetto di austerità fatto di brutali tagli. Era già stato convocato per un pre-vertice prima del summit sulla crisi del 25-27 e gli era stato detto che era meglio tornarsene a casa per preparare qualcosa di meglio da portare ad un secondo vertice. E' stato poi costretto a comparire davanti al summit come uno scolaretto negligente per dire che il cane gli aveva mangiato i compiti per casa. Il GdF era ormai giunto alla conclusione che il navigato crooner nonchè romeo ormai ottuagenario era troppo preso dai suoi affari di sesso e dagli scandali per corruzione per poter "prendere in mano" la situazione dell'Italia. Durante la settimana del referendum fasullo sulla crisi greca, i rendimenti sui BTP italiani a 10 anni erano saliti in modo allarmante. Alla fine della prima settimana di novembre, lo spread tra i titoli italiani decennali ed i bund tedeschi decennali era salito sopra la soglia dei 450 punti base provocando da parte delle clearing houses (stanze di compensazione, agenzie per il corretto funzionamento della Borsa, ndt) una chiamata ad aumentare il margine (deposito cauzionale, ndt)2.
Ancora una volta, le solite fonti dei media hanno iniziato a dire che l'unica soluzione al "problema Berlusconi" era la sua sostituzione con un un governo "tecnocratico". I rendimenti sui titoli italiani erano rimasti alti per tutta la settimana, tanto da far chiudere i rubinetti del credito per il mercato italiano e da spingere i capitalisti italiani ad unirsi alla protesta per chiedere la testa di Berlusconi. Si scopre ora che il nuovo presidente della BCE, l'taliano Mario Draghi, aveva deliberatamente strozzato il riacquisto di titoli italiani da parte della BCE rispetto ai livelli di acquisto degli ultimi mesi, per tenere i rendimenti abbastanza alti da costringere Berlusconi a lasciare. E' chiaramente visibile come alle spalle delle "forze del mercato" ci sia l'intervento del GdF. E così, infine, domenica 13 novembre, Berlusconi ha finalmente gettato la spugna, per la gioia della maggior parte degli italiani. Ma la folla in festa che ha seguito l'auto del premier per le strade di Roma lanciandogli addosso monetine ed il coro che intonava l'Alleluja dal Messia di Handel non devono farci dimenticare il fatto che Berlusconi è stato rovesciato dalla giunta del GdF e non dalla classe lavoratrice italiana, è stato costretto alle dimissioni per non essere riuscito a portare a fondo l'attacco contro i lavoratori e non per la sua quasi universale impopolarità.
Il sostituto di Berlusconi, Mario Monti, è un eurocrate, della specie dei non-eletti, nominato commissario europeo nella metà degli anni '90. Durante il suo mandato presso la Commissione Europea si è distinto col provvedimento anti-Microsoft e per aver bloccato la fusione tra la Honeywell e la General Electric. Monti è un economista accademico che dice di se stesso di essere “il più tedesco degli economisti italiani” ed è presidente della Bocconi, una università privata di MIlano per la formazione finanziaria. Oltre ai suoi incarichi accademici e di pensatore europeo, Monti è anche consulente internazionale per la Goldman Sachs e per la Coca-Cola, come pure presidente europeo per la Commissione Trilaterale e del direttivo del gruppo Bilderberg.
Con un curriculum vitae del genere, ci si può anche perdonare di pensare che “Super” Mario, insieme a Papademos ed al nuovo capo della BCE Mario Draghi, anche quest'ultimo ex-consulente di Goldman Sachs, diano carne ad una visione da teorici della cospirazione, quale quella della strisciante conquista del mondo da parte di un oscuro numero di “banchieri internazionali". In effetti il filo conduttore che lega tutte e tre le cose passa, più prosaicamente, per Francoforte (e Bruxelles) piuttosto che per New York. L'idea che il governo di Angela Merkel e la classe capitalista tedesca siano marionette che danzano la musica suonata da Goldman Sachs o dai Rockefeller vola di fronte alla storia, di fronte alla realtà geopolitica e di fronte al senso comune.
Ma intanto la transizione verso i nuovi regimi "tecnici" post-democratici in Grecia ed in Italia è lungi dall'essere finita. Dopo una breve tregua subito dopo l'ignominiosa uscita di scena di Berlusconi, lo spread tra titoli italiani e bund tedeschi è ritornato a toccare i 530 punti base. Ancora peggio, lo spread spagnolo ha superato (nella giornata di martedì 15 novembre) la soglia dei 450 nella zona della morte della clearing house, pur in vista delle elezioni generali previste per domenica 20 novembre. A meno che la situazione cambi o il GdF dia semaforo verde alla BCE per comprare più titoli spagnoli, anche la Spagna potrebbe finire nelle mani della Troika ben prima che si formi un nuovo governo.
E di fronte a tutto questo, qual è la risposta di quei grandi difensori della democrazia liberale quali il Times irlandese, la RTÉ, il Guardian o la BBC? Beh... Non tanto quanto quello che accade. C'è un gran parlare delle meraviglie delle amministrazioni “tecnocratiche” per il lavoro fatto in circostanze difficili, le affermazioni dei commentatori del tipo “le elezioni ora creerebbero semplicemente ulteriori ritardi ed incertezza sui mercati” vengono riportate senza commenti. E da nessuna parte, assolutamente da nessuna parte, sentirete una vocina che dica quanto tutto questo potrebbe non c'entrare nulla con la visione della democrazia liberale che ci inculcano nelle teste da più di mezzo secolo a questa parte. Come la storia del cane che non abbaia in Sherlock Holmes, così i cani dei nostri media intemerati hanno deglutito, svuotato le viscere sul pavimento e sono sgattaiolati a nascondersi in un angolo.
Allora cosa dobbiamo fare di fronte alla nascita di un governo fatto di diktat in Europa? Per prima cosa dobbiamo vedere qualcosa che forse non è immediatamente evidente. La forza motrice che sta dietro questa mossa del nucleo franco-tedesco e dietro la prassi di questi nuovi organismi burocratici ed autocratici è fatta di debolezza e non di potenza. E' la fragilità stessa del rapporto franco-tedesco e la mancanza di accordo su questioni fondamentali che sta in parte procurando questo ritiro in un unilateralismo forzato e precario.
In secondo luogo, nonostante le apparenze, il paese che potrebbe subire i contraccolpi maggiori da un collasso dell'euro o dall'uscita dall'euro dei suoi paesi in “deficit”, è proprio la Germania. L'economia tedesca è costruita su un surplus di esportazioni verso i paesi dell'Eurozona con un deficit dell'import/export. Se l'Eurozona si riduce ad una sorta di “Marca del Nord” composta da Germania, Austria, Olanda, Lussemburgo e Finlandia e, possibilmente, Francia (anche se improbabile, data la sua esposizione massiccia verso il debito italiano), il differenziale di scambio tra la zona "Settentrionale" e la UE del sud e periferia schizzerà così in alto da rendere invendibili le esportazioni tedesche nei loro principali mercati.
Questo non vuole dire che l'Irlanda ed altri paesi della "periferia" attualmente oggetto di dominio della Troika non soffirebbero di un maggiore ed ulteriore collasso economico da un'uscita disordinata dall'euro, ma siamo già di fronte alla lenta e progressiva devastazione della “morte da mille tagli" che ci aspetta nei decenni di austerità previsti dall'attuale piano del GdF per cercare di esternalizzare le contraddizioni del Nucleo, "facendo pagare ai PIIGS” le perdite di tutto il sistema bancario europeo.
Questo piano di austerità si è già spinto oltre il previsto programma di drastici tagli al settore pubblico e di privatizzazioni forzate, tanto da diventare un programma di tassazione diretta sui cittadini delle periferie. Non solo in Irlanda ma anche in Grecia e molto presto in Italia, verranno emesse nuove imposte sulla casa per cercare di farci pagare il crollo della bolla finanziaria globale europea e mondiale. Il nostro rifiuto di pagare, non solo come irlandesi, greci o italiani, ma come lavoratori europei che resistono alla dittatura del Frankfurt Group, è l'inizio di un progetto collettivo non solo per resistere ma per approfittare della debolezza del GdF con lo slogan, “le difficoltà della giunta di Francoforte sono l'opportunità dei lavoratori europei". E così forzare la riapertura delle questioni dei processi costitutivi europei sulla base di una vera democrazia, tanto economica quanto politica, dato che la inseparabilità dei due termini è stata definitivamente dimostrata dagli oscuri sviluppi di questi giorni.
WSM(traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali)
Note
1. Economist: The euro's Frankfurt Group
2. L'ultima affermazione necessita di una breve parentesi esplicativa. Banche ed altri investitori istituzionali che detengono titoli di debito pubblico spesso li usano sui mercati come una sorta di garanzia per pronti-contro-termine (dal riacquisto) per prestiti in contanti. Effettivamente vendono i titoli con un accordo sul loro riacquisto in futuro ad un prezzo più alto. Per evitare il rischio del compratore di tenersi obbligazioni (col valore incerto) qualora il venditore non potesse mettere a disposizione il contante nel tempo prestabilito, la grande maggioranza di questi contratti avviene tramite una camera di compensazione (clearing house) che sostanzialmente assicura i contanti del compratore e le spese del venditore (mutuatario) con una percentuale della transazione, denominata margine. Nel caso della maggiore camera di compensazione europea, la LCH Clearnet, questo margine è del 5%. Nell'ottobre 2010, la LCH ha preso la decisione (vedi LCH Clearnet Circular 2692, Management of Sovereign Credit Risk for RepoClear Service) che ogni 10 titoli annuali (i più popolari) che superassero del 4,50% espresso in 450 punti base oltre il “benchmark” a 10 anni - nel caso dell'Eurozona, i titoli tedeschi - si sarebbe innescata una crescita del margine dal 5% fino al 20%. Il che significa che le banche o altre agenzie di investimento con prestiti hanno bisogno di vendere assets per ottenere contanti per pagare i costi aggiuntivi. Se gli assets in loro possesso sono titoli della stessa origine, si innesca rapidamente un circolo vizioso quale quello che ha spinto sia l'Irlanda che il Portogallo in amministrazione controllata negli ultimi 12 mesi. I titoli italiani sono stati oggetto di questo aumento del margine (anche se solo del 5%) nella giornata di mercoledì 9 novembre.