ATTACCO ALLA FIOM

Primo: accelerare! Secondo: fare fuori il dissenso!

L'attacco alla FIOM è pesante e degno della peggior logica stalinista. Finora è stato lanciato su due fronti:
gli accordi separati in alcuni stabilimenti Fiat ( e non è finita);
la sospensione del gruppo dirigente FIOM di Milano (colpevoli di aver permesso l'intervento di un operaio ex-CGIL ad un attivo di iscritti un anno fa), due ore prima del Comitato Direttivo Nazionale.

La discussione al direttivo CGIL era sul documento unitario, che è stato approvato a maggioranza (105 favorevoli). Hanno votato contro FIOM e le due aree tematiche della Rete 28 Aprile e Lavoro e Società (25 voti).

I metalmeccanici, l'unica categoria che può creare problemi, quelli tacciati di essere "i professionisti del no", va "normalizzata" perché la posta in gioco è alta e, dato che puntare al bersaglio grosso risulta non praticabile, si procede per linee esterne.

Il documento approvato sulle linee di riforma della struttura della contrattazione aggiunge a quello già conosciuto, il capitolo su democrazia e rappresentanza (sic!).

Si punta a rafforzare la contrattazione di secondo livello - incentrata sul salario per obiettivi rispetto a parametri di produttività, qualità, redditività ed efficienza - affidando il mantenimento del potere d'acquisto delle retribuzioni al contratto nazionale, sulla base del recupero della "inflazione realisticamente prevedibile".

Il nuovo capitolo sulla rappresentanza e la democrazia, chiesto a gran voce dalla CGIL, prevede che la rappresentatività di un sindacato sarebbe affidata per via negoziale (e non legislativa) ad un mix di criteri considerando il numero degli iscritti e i voti delle elezioni della Rsu.

Sul modello di quanto avviene nel pubblico impiego - dove sono ammesse alla contrattazione le sigle che superano la soglia minima del 5%, calcolata come media fra il numero degli iscritti e il numero dei voti alle elezioni delle Rsu - ogni categoria potrebbe fissare il proprio tetto di sbarramento. Il tutto certificato da un ente come il Cnel.

La piattaforma prevede anche la riduzione numerica degli attuali 400 contratti nazionali che saranno accorpati per aree omogenee, la trasformazione della durata - dall'attuale biennio economico e quadriennio normativo ad un triennio economico-normativo - con sanzioni in caso di mancato rispetto delle scadenze contrattuali.

CGIL, CISL e UIL chiedono un sostegno alla diffusione della contrattazione di secondo livello "sia per via contrattuale che di incentivazione". E propongono che i contratti nazionali prevedano, in alternativa la sede aziendale o territoriale (in tutte le sue forme, regionale, provinciale, settoriali, di filiera, di comparto).

Dunque, la posta in gioco è alta in quanto le due "destre"che dichiarano costituente la nuova legislatura hanno convergenze forti sulla ristrutturazione politica/istituzionale del paese e visione comune sul mondo del lavoro.

Il documento unitario CGIL-CISL-UIL si pone su questo terreno, modificando la natura stessa del sindacato, seguendo le ristrutturazioni in atto sul terreno industriale/finanziario, frutto dello "stato" della mondializzazione. L'ordine è stato eseguito: in primis non aumentare il potere d'acquisto dei salari e delle pensioni.

Il documento dovrà essere mediato e condiviso dalla Confindustria e dal ministro del lavoro, tal Sacconi, da sempre uomo di questa.

Gli unici non interpellati e all'oscuro di tutto sono le lavoratrici/ori che una volta concordato il testo tra le "parti sociali", verranno chiamati in causa con un pronunciamento. Non si può certo definire questa una trattativa.

Occorre mobilitarsi nei posti di lavoro e dal basso nelle camere del lavoro per denunciare e contrastare il disegno politico restauratore che potrebbe passare con questo documento e che non prevede nessuna forma di opposizione sindacale, nessuna forma di dissenso e di alternativa.

Commissione Sindacale
FEDERAZIONE DEI COMUNISTI ANARCHICI
10 maggio 2008

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Contro la mafia lo stato il capitale: azione diretta!

La mattina del 9 maggio 1978 l’Italia si sveglia con due gravi fatti: il ritrovamento a Roma del cadavere di Aldo Moro e quello che i giornali descrissero subito come il “suicidio terroristico” di Peppino Impastato a Cinisi sui binari della ferrovia Palermo-Trapani.

Con una strana coincidenza, si volle subito criminalizzare la morte di Impastato descrivendola come l’involontario suicidio di un “terrorista rosso” che fatalmente – proprio quel giorno – decideva di abbandonare la sua prassi di lotta al sistema per commettere un attentato dinamitardo.

L’evoluzione delle indagini e la successiva sentenza finale, emessa significativamente dopo 20 anni, hanno poi confermato quello che è stato sempre sostenuto da chi lo conosceva e dai suoi compagni di lotta: Impastato è stato ucciso dalla mafia.

Le modalità con cui l’assassinio di Impastato venne abilmente camuffato, la coincidenza temporale con il ritrovamento del corpo di Moro e le coperture istituzionali che a tutti i livelli hanno ostacolato la ricerca della verità su entrambi gli episodi, sono tutti attrezzi del mestiere che lo stato ha sempre utilizzato per portare a compimento le sue strategie di dominio. Nella prassi del potere politico, garante ed espressione del sistema economico capitalistico, la mafia ha sempre avuto un ruolo assolutamente organico alle istituzioni: una compenetrazione grazie alla quale la Sicilia è ancora oggi terra di conquista del potere, ostaggio del ricatto e del terrorismo mafioso.

La lotta alla mafia espressa da Impastato era la lotta di un militante comunista ed era concretamente proiettata al cambiamento sociale. Niente a che vedere con il ritualismo legalitario con cui oggi si tende a riscrivere la storia della Sicilia e di chi ha lottato contro la mafia autonomamente. La legalità in quanto tale è un simulacro vuoto su cui non si può e non si deve appiattire l’azione antimafia perché la legge dello stato è sempre frutto dei rapporti di forza tra le classi e, dunque, esprime gli interessi di chi detiene il potere politico ed economico. Ecco perché mafia e stato sono facce di una stessa medaglia, e tutti quelli che sono stati ammazzati dalla mafia sono sempre stati ammazzati prima dalla politica e dall’isolamento in cui le istituzioni li hanno strumentalmente lasciati.

Oggi siamo qui non solo per riaffermare la nostra solidarietà a Peppino Impastato, ma per rilanciare la mobilitazione contro l’assedio della mafia e dello stato, contro la deriva autoritaria e fascista che si respira in questo paese e per riaffermare che solo attraverso la ripresa della lotta di classe, il rilancio della gestione dal basso delle lotte, la valorizzazione della azione diretta, sarà possibile respingere l’offensiva del potere e far rinascere quella coscienza collettiva ispirata alla solidarietà, alla liberta, all’uguaglianza.


Federazione dei Comunisti Anarchici – Sicilia

Nucleo “Giustizia e Libertà” della Federazione Anarchica Siciliana